29/luglio/2006: Da "Ignoto"

Le mando un articolo di giornale che mi ha interessato... cosa ne pensa ?

"Il padre è morto? Viva il padre - G. Dotto
Parola di Jacques Lacan. «Prendete il Papa, sdraiatelo sul lettino dello psicoanalista, dopo cinque minuti è già lì che vi parla di suo padre..». Non si scappa. Il padre è lì. Da uccidere e da amare. Più che mai da nominare. Da Edipo al codice napoleonico, dal Vangelo a Freud, da Shakespeare a Joyce, passando per Collodi e Kafka, il Mosè biblico ma anche quello cinematografico. Lo trovi nella vertigine sospesa di Robert Bresson e nelle gag andanti di Carlo Verdone, nel sessantottino Porcile di Pasolini, Pierre Clementi che vaga vestito di pelli alle pendici dell'Etna, gemendo «Ho ucciso mio padre, mangiato carne umana e sto piangendo di gioia.» e nelle sale di oggi, il film sul figlio di Joseph Mengele, che non risponde presente in classe perché i professori quando fanno l'appello saltano il nome del padre, l'innominabile kriminal doktor di Auschwitz, sempre lui Charlton Heston, già Mosè, The Father tutto d'un pezzo di una nazione che si ostina a credere nella Legge, spaventoso Mengele quando sussurra al figlio che lo trova e gli punta la pistola alla tempia: «Tutti i figli sognano di uccidere il padre, e tu, in questo momento, stai sognando».
E' sempre la stessa Telemachia, la stessa fallimentare impresa,
accerchiare e circoscrivere il Nome del Padre, mettere il sale sulla coda del fantasma eccellente o puntargli la pistola alla tempia. La caccia alla balena bianca di Achab è più il mito di un avvistamento che la metafora di un parricidio truccato da balenicidio. Ogni paternità è follia, Giuseppe, Lear o Geppetto che sia, lo stesso autorizzato delirio. Il rapporto mancato da manuale e però inevitabile, di più, necessario. «Nessun essere cosciente può dire cos'è un padre» fa sapere Lacan. Il padre non è certo e non è dicibile, al di là dello spermatozoo che ti ha generato, «l'unico padre certo». Non si può dire e pure, proprio per questo, non si smette mai di parlarne. La missione dei Ghostbusters in veste laica con tanto di potente cannocchiale rovesciato s'inoltra là dove non regge più l'identificazione del padre con Dio, quando la preghiera scade nell'afasia. «Padre nostro sia santificato il tuo nome, venga il tuo Regno, sia fatta la tua volontà, così in cielo come in terra.».
Oggi più che mai il padre «evapora» sotto gli occhi di tutti. Dopo averlo messo come totem al centro della sua teoria, la psicoanalisi ne svela l'inconsistenza. Il padre è silente oltre che assente. Un gigante sfigurato dal vuoto che lo crepa proprio là dove si mostra enfatico con le sue tavole della legge. Dal patriarca di Sigmund Freud, il padre padrone, al padre umiliato e deriso di Paul Claudel, il padre che non esiste in quanto non consiste, è lo strapotere che denuncia l'impotenza. Nel disordine delle identità fluttuanti, il re della foresta subisce lo sfratto esecutivo. Fuori dalla caverna, dissolta la tribù, abolite le differenze, il padre metropolitano è tutto da reinventare, la sua parola conta sempre meno, non solo per i figli, ma anche per la sua partner, non è mai all'altezza, non ci sa più fare.
«Il rifiuto della dissimmetria tra i genitori della nostra epoca dà
vita a una specie di équipe interscambiabile nella quale i ruoli si confondono. Tutto ciò contribuisce ad abolire il padre come autorità. Solo i giudici tentano come possono oggi di sostenerla» scrive Marie-Hélène Brousse (presidente della Scuola Europea di psicoanalisi).
La crisi dell'imago paterna e dei sembianti classici che la sostengono si ripercuote sui figli. Gli effetti sono evidenti. «Sono i sintomi del nostro tempo: un aumento spettacolare e a tutte le età di angoscia e di panico, la ricerca ossessiva di garanzie, il protrarsi dello stato adolescenziale, la ricerca di forme sostitutive più o meno stabili in ideali da venerare o in miraggi da coltivare, la caccia a sensazioni forti con oggetti effimeri quanto insostituibili, di cui la droga è il paradigma» spiega Antonio Di Ciaccia, direttore dell'Istituto Freudiano di Roma e presidente del Congresso. «E ancora, l'insistenza edonistica di un uso e abuso del corpo, in un godimento che si fa sempre più privato, sempre più chiuso, sempre più autistico. La segregazione, dice Lacan, è la traccia, la cicatrice dell'evaporazione del padre».
Bisogna restaurare la figura paterna, ancorarla al suo antico ruolo, al centro della famiglia moderna ripensata sul modello di quella patriarcale, si invoca da più parti. Impresa disperata, per non dire impossibile, obiettano altri. La nostra è una civiltà aperta, ibrida, delebile: è il concetto d'identità nella sua globalità che va in pezzi.
Sono cambiati i processi produttivi, le nuove tecnologie hanno reso tutto più fluido e frammentato, tutto viene ridimensionato e declassificato: non c'è più spazio per opinioni che si presentino nella dimensione della verità. Siamo nel mondo del relativismo e della scienza invasiva che si spinge, con il suo bisturi indifferenziato e i suoi valori flessibili, nell'area sacra della procreazione, profanandola, staccando ovuli e sperma dal loro universo simbolico, cambiando sesso e generando a comando, rimodellando in laboratorio la questione del padre e della madre.
Su queste due linee si muove anche una certa psicoanalisi: restaurare il padre o rendere più sopportabile il sintomo. Riformulando l'Edipo freudiano e spingendosi oltre è Jacques Lacan che firma la sfida decisamente audace e attuale: «Il nome del Padre: farne a meno, a condizione di servirsene». Il padre è morto? Viva il padre. Il padre è un'invenzione? Viva la funzione paterna. «Con l'espressione Nome-del-Padre, Lacan definiva la funzione paterna, che interviene come terzo nella coppia madre-bambino e che nella vita di un soggetto costituisce quel supporto stabile e normativo che collega la legge e il desiderio», sottolinea Di Ciaccia. E' nel suo seminario su Finnegans Wake, l'incompiuta di Joyce, che Lacan sottolinea come la scrittura agisca nello scrittore da funzione operativa del Nome del Padre, sia la supplenza che lo tiene a galla, ai bordi del suo disastro psichico.
Nell'Ulisse, Bloom diventerà la figura del padre che Dedalus sceglierà per sé. Inventarsi un padre, ovvero inventarsi un cosmo in cui abitare, attraverso la parola scritta.
La scrittura non è evasione dalla sfera del padre come mostra di credere l'inetto (agli occhi di Hermann Kafka) Franz, l'insetto Franz, ma la sua piena, totale assunzione, nel pieno delle sue funzioni. Il nome del padre distanzia il figlio e articola il soggetto, lo spinge nel cuore del suo sintomo e diventa la sua spina dorsale. La provocazione di Lacan ha una risonanza grandiosa, ti trascina nella tagliola, ti costringe all'amputazione e ti indica come trasformare l'emorragia e il dolore in azione. Separare e legare. La paternità ridotta a funzione diventa una mirabile sartoria del taglia e cuci.
Apre la possibilità di sostenere ciò che per definizione è insostenibile, il proprio desiderio. Sostituirai il tuo godimento seriale di potenziale assassino o eventuale tossicomane con qualcosa di analogo che sia però iscritto nella Legge.
La psicoanalisi apre uno spiraglio del tutto inaspettato. No al padre in quanto riproduzione di un ideale poco importa se esecrabile o da amare. Lacan fa un passo avanti: dal nome del padre al padre del nome, alla sua funzione di nominazione. «Ogni figlio, naturale o meno, ogni bambino, deve essere comunque adottato: è cioè necessario un atto di parola a soppiantare il fatto biologico», rafforza il concetto Jean-Daniel Matet, psicoanalista francese e membro dell'Ecole Freudienne."

Dalla Stampa del 13 luglio